Il turnover, definibile anche come ricambio aziendale, è rappresentato dal numero di lavoratori che decidono di lasciare il proprio posto di lavoro, e che quindi devono essere sostituiti da nuovo personale, che chiaramente andrà prima di tutto ricercato attraverso un processo di recruiting, e successivamente formato in modo da poter svolgere adeguatamente il proprio compito nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi aziendali.
A giocare il ruolo di spartiacque in questo fenomeno è stata la pandemia da Covid-19, che ha completamente cambiato il modo di lavorare, accelerando quello che di fatto era un processo già in essere, rendendo sempre più pressanti alcune sfide per le aziende, che si trovano da un lato a dover cercare nuovi talenti, e dall’altro a mantenere quelli che già possiedono, investendo non solo in nuove tecnologie, ma anche nella cultura aziendale.
In questo articolo, andremo innanzitutto a vedere quali sono le cause e le conseguenze del turnover, ma vedremo anche come la formazione aziendale può giocare un ruolo determinante nel venire incontro ai bisogni e alle esigenze dettate dal nuovo modo di lavorare emerso dalla pandemia, e quindi come le aziende possono inserirsi con successo in questo nuovo mercato del lavoro.
Il processo di turnover, che abbiamo descritto qualche riga fa, può essere volontario o involontario: nel primo caso, sono i dipendenti stessi a lasciare il lavoro, mentre nel secondo caso i lavoratori si trovano a cambiare lavoro perché vengono licenziati. La situazione ottimale è la prima, ossia quella di una scelta autonoma dei dipendenti di lasciare il posto di lavoro, ma quando i numeri di questo fenomeno iniziano a farsi elevati, ci sono delle conseguenze per le aziende, che devono impiegare energie, tempo e risorse alla ricerca e alla formazione dei nuovi dipendenti.
Rimanendo nell’ambito di un turnover volontario, possiamo vedere che le motivazioni che spingono le persone a questa decisione sono molteplici, ma sostanzialmente possono essere riassunte in due macrocategorie: un’insoddisfazione generale verso il posto di lavoro, che porta al desiderio di trovare condizioni migliori, oppure la proposta di un lavoro con un compenso più elevato. Sebbene questa seconda motivazione esista, e in un contesto di recessione economica non vada assolutamente sottovalutata, il ruolo giocato dalla pandemia come spartiacque verso un nuovo mondo del lavoro si può ascrivere piuttosto alla prima categoria di motivazioni, e ora vedremo perché.
Un elevato turnover, quindi, sembra essere molto legato ad una mancanza di coinvolgimento dei dipendenti, e da una mancanza di comunicazione, supporto e cultura aziendale improntata al dialogo e all’inclusione. Diversi studi, infatti, hanno confermato che i professionisti sarebbero disposti a rinunciare ad un compenso più alto, in cambio di altri vantaggi come la flessibilità lavorativa, le ferie retribuite, o più in generale un ambiente dove le esigenze vengono ascoltate e prese a cuore, offrendo un compromesso tra gli obiettivi aziendali e i bisogni del suo capitale umano.
Uno dei maggiori cambiamenti dettati dalle restrizioni relative all’emergenza sanitaria è stata la massiccia introduzione del lavoro da remoto, che è rimasto in auge anche con le graduali aperture e con il retrocedere dell’emergenza. Questo ha fatto sì che molte aziende, anche di grandi dimensioni, abbiano continuato ad offrire posizioni lavorative che possono essere occupate da professionisti di tutto il mondo. Questo ha fatto sì che da parte dei lavoratori stessi ci sia meno “paura” a cambiare, grazie alle maggiori possibilità di carriera che non sono più limitate alla città o al Paese di provenienza. Questo abbattimento delle barriere geografiche ha portato a dei vantaggi anche per le aziende stesse, che quindi possono effettuare delle ricerche di personale con confini molto più ampi, con il risultato di ridurre i tempi e impiegare meno risorse, anche se non va sottovalutato l’altro lato della medaglia, ossia quello di una competizione molto più alta.
Il fatto che ci sia una competizione più alta nell’attrarre nuovi talenti di per sé porta a delle conseguenze che hanno un peso anche economico sull’azienda, come quello di dover investire maggiori risorse da destinare all’ambito HR e del recruiting, in modo da rimanere competitivi con le altre imprese che si muovono in questo senso. Tuttavia, bisogna ricordare che mantenere un dipendente in organico costa meno che cercare e formare nuovo personale, anche volendo assicurare ai lavoratori maggiori benefit. Dunque, è possibile reindirizzare questo investimento non tanto nel recruiting, quanto piuttosto in una serie di misure che possono portare a rallentare il processo di turnover, e che vedremo nelle prossime righe.
Innanzitutto, è necessario che le imprese si adeguino a quelli che sono i nuovi modelli di lavoro dettati dalle nuove esigenze successive al momento di crisi della pandemia, e in particolare al desiderio di flessibilità, che si traduce nella possibilità di smart working o lavoro ibrido. Sono diversi gli studi che dimostrano che gran parte dei professionisti vorrebbe avere la possibilità di lavorare da remoto per almeno 3 giorni alla settimana, e un report di KayoCloud del 2021 ha evidenziato come l’80% delle aziende stesse adottando un modello di lavoro ibrido nelle prime fasi della ripresa, e tra queste ci sono anche dei colossi come Spotify, Twitter o Facebook.
In questo contesto, quindi, possiamo facilmente dedurre che sia necessario un investimento nel digitale, ma non solo: anche la formazione aziendale potrà svolgere un ruolo fondamentale in questa transizione, specialmente per quanto riguarda tutti quei professionisti che si ritroveranno nel concreto a dover ripensare i modelli di lavoro, e in particolare parliamo di tutti coloro che operano nell’ambito delle risorse umane.
The Language Center offre una serie di programmi formativi dedicata proprio a chi opera nel settore HR, con la consapevolezza che l’azienda vada concepita come un organismo vivente, che necessita che tutte le sue componenti agiscano in armonia per poter funzionare bene, ma anche che una formazione continua del capitale umano possa aiutare le imprese a gestire e superare i momenti di crisi, adattandosi ai cambiamenti e mettendo in atto strategie di evoluzione per stare al passo con le nuove esigenze interne ed esterne.
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